Costa Rica, viaggio di nozze.

Il nostro tour prevede appena due giorni ad Arenal, e da ieri piove ininterrottamente. Che va bene la stagione delle piogge, ma qua sta piovendo fuori misura che nemmeno i locals -ci dicono- sono preparati, e giusto due giorni fa mentre eravamo a Monteverde il terreno non ha retto il carico d’acqua, è franato ed ha distrutto una casa. L’altra -tragica- faccia del cambiamento climatico.

“Cosa facciamo oggi?” “Non lo so, tu cosa vuoi fare?” “Non saprei, tu cosa vuoi fare?” e avanti così.
Potremmo andare a vedere il parco nazionale, piove ma vabbè ormai ci siamo abituati.

Ma no, abbiamo fatto il parco letteralmente accanto giusto ieri, dice mio marito. Basta hiking, facciamo qualcos’altro.
“Possiamo andare a vedere i bradipi??” propongo io speranzosa. 35 sacchi a testa e la tipa alla biglietteria ci avverte che quando piove i bradipi dormono. Vabbè, torniamo più tardi quando smette.
Marito scova sulla Lonely delle grotte calcaree a un’ora da qui. Controlla su Google, dice che sembra carino. Per una volta decido di fidarmi, avrà verificato che sia un’escursione fattibile, no? Almeno sono al coperto.
Guidiamo per 57 minuti.
Arriviamo.
30 sacchi a testa.

Il tizio ci avverte che “ci bagneremo un po’”. Ma che sarà mai un po’ di umidità. Ci forniscono elmetto e luce. Alla biglietteria si potrebbero opzionalmente ritirare degli stivali di gomma, ma la guida mi dice “Meglio le scarpe che hai addosso”. E grazie al cazzo, sono delle Salomon che ho comprato appena prima di partire. Arriviamo alle grotte e scopriamo che dobbiamo letteralmente immergerci fino al ginocchio nell’acqua, per chilometri. Canali stretti, tarantole e grilli scorpione su tutte le pareti, un soffitto di pipistrelli che ci sovrasta la testa.
Io comincio ad incazzarmi. Recrimino con la guida che non ci aveva avvertiti che sarebbe stato così, altrimenti almeno mi sarei almeno fatta dare gli stivali di gomma.

Io non ho tante fobie, mi faccio andar bene abbastanza tutto, ma se c’è una cosa che mi ha sempre terrorizzata è l’idea di rimanere intrappolata in una grotta. Mai capito come facciano gli speleologi, devono avere un autocontrollo buddhista. Ah, l’altra sono i topi, soprattutto da quando ai tempi del liceo lessi 1984. I topi, e tutti i loro parenti più brutti.

Per altro piove da giorni e quindi l’acqua dentro la grotta è anche bella alta e incazzata. Alcuni cunicoli sono letteralmente dei buchi in cui bisogna calarsi, io mi rifiuto spiegando che nelle grotte mi viene la claustrofobia e che credevo che l’escursione fosse un po’ diversa, che in Italia abbiamo le grotte, sì, ma sono tipo Toirano e ci sono le luci e le strade battute e la gente e le uscite di sicurezza. Insomma, che una roba del genere da noi sarebbe illegale. Oltre al fatto che stiamo letteralmente camminando su rocce calcaree di milioni di anni che da noi sarebbero protette come il sangue di SanGennaro e toccarle ti costerebbe dieci anni di galera, ma questo non glielo dico che poi paio pure pesantona.

In alcuni punti aspetto gli altri che riemergano, in altri mi forzo di infilarmi respirando profondamente. Intanto mi sto incazzando sempre di più con Marito, ma possibile che la Lonely non dicesse nulla?! No, no, non diceva nulla del genere, ti pare, altrimenti mica ti avrei portata, mi rendo conto che sia un po’ hardcore. Proseguiamo, annaspo nell’acqua, scivolo sulle pietre bagnate, ma non posso nemmeno appoggiarmi alle pareti perché sono ricoperte di cacche di pipistrelli ed ho paura di beccare una tarantola, che vabbè che in Costa Rica non sono velenose, ma comunque preferirei evitare l’esperienza.

A ‘na certa l’illustre testa di m* di guida ci porta in una grotta chiusa, che abbiamo raggiunto strisciando tra rocce che lasciavano un passaggio alto 60-70 cm, e CI FA SPEGNERE TUTTE LE LUCI. Buio totale. Io, presa da un attacco di panico, comincio a piangere silenziosamente, esercito le mie migliori conoscenze cognitivo comportamentali per dirmi che non può succedere assolutamente nulla e chissà quante persone ci passano ogni giorno. Se fosse pericoloso non ci avrebbero mica portati, no?

Intanto però sto morendo dentro e mi ripeto che i bradipi erano così carini e che sarebbero sicuramente valsi di più quei 35 sacchi.
Finalmente finiamo, l’ultimo pezzo è davvero stretto e la guida ci dice che se vogliamo possiamo uscire da un passaggio più facile. Marito, bontà sua, rinuncia a fare Indiana Jones e mi segue. Così usciamo a rivedere il sole.

Io fradicia, lo insulto per l’idea di m*. Nel mentre mi chino a raccogliere l’accendino che mi era caduto e -strac!- i pantaloni, che ovviamente non sono fatti per essere indossati bagnati, mi si strappano sul cavallo. Da parte a parte. Per altro ho portato solo tre paia di pantaloni, ora siamo scesi a due. Tipo dieci piccoli indiani.
Rimango ad imprecare con il sedere all’aria. Le uniche scarpe chiuse che ho portato (“Ma non portarti le Superga, dai, sono di troppo, non carichiamoci di roba, tanto hai già le scarpe da trekking” cit di cinque giorni fa, quando facevo i bagagli), e che continueranno a servirmi per le escursioni dei prossimi giorni, sono attualmente fradice ed inutilizzabili. Risaliamo in macchina, zuppi di fango, io con le chiappe al vento.

Prendo la Lonely.

“Vi verranno forniti degli stivali. All’uscita troverete le docce. Vi consigliamo di portarvi un cambio”.

Risultato: rientriamo in albergo in silenzio, lui in palese imbarazzo. L’unica ora di sole della giornata, che avremmo potuto sfruttare per vedere i bradipi, la spendiamo a scrostarci il fango e pulire le scarpe (pregando che si asciughino entro domattina). Adesso diluvia, siamo chiusi in stanza e la mia rabbia ha provocato un’onda d’urto che ha anticipato la migrazione di almeno una ventina di specie di uccelli tropicali.

Però oh, 30 sacchi per un attacco di panico è un affare.
Ed è così che mi ritrovo qui, signor Giudice.