Marzo 2015. Prima volta in Tunisia, ci sarei capitato molto spesso da lì fino al 2019 perché andavo a trovare mio padre che ci lavorava.

Avevamo sfiorato per poco l’attentato al Bardo la mattina rimanendo bloccati nel traffico cercando di andare dall’aeroporto verso casa e avevamo intravisto le camionette zeppe di teste di cuoio davanti al Parlamento. Insomma, proprio il momento migliore per metterci piede.

Appena arrivati lasciamo le valigie e ci fiondiamo subito nei dintorni di Hammamet per cenare, verso le 22 siamo già di ritorno (eravamo cotti) e manco a dirlo non conoscendo la strada rimaniamo isolati senza capire né dove fossimo né come tornarcene a casa. Decidiamo di fermarci (a fari spenti, dettaglio fondamentale) di fianco a quello che credevamo essere un impianto sportivo per chiedere a un bar che avevamo visto ancora aperto indicazioni, quando dopo aver mosso mezzo passo fuori dalla macchina ci troviamo di colpo illuminati da un faro fortissimo e senza accorgercene siamo circondati da quattro militari per lato della vettura col fucile puntato su di noi.

Urla, bestemmie e calorosi inviti a starcene immobili sono arrivati prima del cercare di non collassare per lo spavento e per la consapevolezza di non essere proprio in una bellissima situazione, quindi cerchiamo di spiegare la cosa ovviamente senza essere capiti, visto che tutti e quattro parlavano solo arabo.

Ci viene in aiuto tipo film il maresciallo o il capoccia di questi quattro militari che dalla torretta, senza neanche scendere, in un francese approssimativo cerca di comprendere il perché ci fossimo fermati, di notte e a fari spenti, di fianco a quella che abbiamo scoperto essere poi l’Accademia Militare della zona. Dopo un quarto d’ora abbondante sembrano capire che non siamo lì per farli saltare tutti per aria ma semplicemente ci siamo persi, e sempre attraverso la lingua dei segni (sicuramente più efficace del francese parlato sia da noi che da loro) ci spiegano come tornare verso casa. Todo bien, problema (con qualche infarto scampato) risolto.

Non siamo mai più passati manco per sbaglio in quella zona per lo spavento ma tempo dopo, una volta stabilito e ormai ambientato nel posto, papà mi raccontó di essere stato fermato ad un posto di blocco proprio da uno dei ragazzi che quella sera ci puntarono, ormai diplomato e impiegato in servizio, che non solo lo riconobbe ma volle anche offrigli un tè nel ristorante del fratello.