Ottobre 2021, viaggio di lavoro in Sierra Leone. Accetto di andare solo perché con me ci sarà la mia migliore amica e collega e almeno è un’occasione per passare tempo assieme.

Dopo una notte nel “lodge” dell’Isola Tiwai, sul fiume Moa, in cui sul letto su cui dormo sento l’odore di tutta l’umanità che ci ha dormito prima di me (e anzi, almeno io non mi becco le cimici dei letti che invece toccano alla mia amica), partiamo alla volta delle Turtle Islands, noto paradiso tropicale.
Dopo ore di navigazione su una barchetta, sotto il sole, arriviamo nella più sperduta delle isole.

La guida soddisfatta avvisa che per la notte è riuscita ad accaparrarsi l’unica guest house dell’isola.
Al nostro arrivo, tutta la comunità accorre a salutarci. E poi resta. Resta ad osservarci mentre mangiamo, resta ad osservarci mentre scarichiamo la roba dalla barca. Resta ascoltando la radio a volume molesto – non fosse altro perché ci sono una cinquantina di persone, e ognuna ha la sua radio.
La guest house si rivela piuttosto spartana: due camere, una con un letto matrimoniale e lenzuola che sono state lavate nel 2002, alla fine della guerra (del resto, nell’isola l’unica fonte di acqua viene da fosse scavate nella sabbia); e l’altra con un materasso buttato a terra. Ma c’è la zanzariera (le finestre hanno le imposte, ma non il vetro) e c’è un bagno – o meglio, un gabinetto poggiato su una buca scavata nella sabbia e un secchio con acqua). Elettricità non pervenuta. Lavandino non pervenuto.