Viaggio su un bus notturno da Sucre a Tupiza, nel sud. Dopo aver sperimentato il lusso dei bus notturni peruviani nel mese precedente, capisco che qui è tutt’altra roba. Mi avevano avvisato: i bus a lunga percorrenza hanno il bagno ma quasi mai funzionante.
È l’una di notte, tutti dormono mentre io, con una torcetta, scrivo il mio diario di viaggio.
Avverto una strana sensazione nel mio basso ventre: scavalco come un ninja il mio compagno di viaggio e scendo al piano terra, dove dovrebbe esserci il bar.
Scese le scale a chiocciola, mi trovo in un piccolo “disimpegno”. A sinistra la porta che dà alla sezione passeggeri inferiore, alle mie spalle la porta d’uscita, alla mia sinistra quella che dà sulla cabina degli autisti, di fronte a me quella del bagno. CHIUSA.
Il secondo autista, attirato dalla torcia del mio smartphone, si affaccia.
Serrado, mi fa: grazie al ca**o avrei voluto rispondergli. Si consulta con l’autista, mi comunica che è rotto e ha un’idea geniale: mi consegna una busta.
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