“Benissimo”, pensiamo.
Così la nostra comitiva multietnica inizia a seguire l’impiegato della Korean Air, che per semplicità chiameremo Signor Kim, verso i controlli di frontiera.
“Mi scusi Sig. Kim. Abbiamo bisogno di un visto per entrare in Corea?”.
“Sì, certo! Non ce l’avete?”.
“Eh no, caro Sig. Kim. Noi qui non ci volevamo proprio venire. Ci siamo capitati”.
“Ah! Vediamo che si può fare”.
Telefona e telefona.
“Di che nazionalità siete?”
“Come di che nazionalità siamo? Hai avuto i nostri passaporti in mano 20 minuti fa! Siamo italiani”.
“Ah allora non c’è problema. Potete entrare”.
Mi sorge però un dubbio: “Mi scusi Sig. Kim. Lei sa che non siamo tutti italiani vero? Ha controllato tutti i nostri passaporti, dovrebbe saperlo”
“Ah. E di dove sono gli altri?”
“Eh, quello è spagnolo, quella è russa, quei due anziani giapponesi… e quella invece è cinese”.
“”inese?! No, la cinese senza visto non può entrare!”.
E quindi il dramma della cinese che inizia a piangere e tutti che cercano di convincere Kim a farle continuare il viaggio con noi.
Telefona e ri-telefona e si convince: “Dai, per stavolta anche la cinese può entrare”.
Controllo alla frontiera. Dopo alcune domande percepiscono che non sono una minaccia per il Paese e mi lasciano entrare.
Sono il primo e nell’attesa cerco il timbro del visto sul mio passaporto. Un altro da aggiungere alla mia collezione, penso.
Nessun timbro di entrata sul mio passaporto.
“Giulio, fammi vedere il tuo passaporto. Ti hanno messo il timbro sul passaporto?”
“Sì certo. Eccolo qua”.
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