E cosa vuoi che sia, ormai. Solo che il ritardo prima segnalato di un’ora, poi diventa di due, poi sembra destinato ad aumentare. La gente, tutta italica in rientro, comincia a lamentarsi. Al ché decidono di farci salire sull’aereo, dove però aspettiamo nuovamente qualche ora, nel borbottio crescente degli individui. In tutto l’aereo ero l’unico a parlare francese e le hostess mi chiedono di spiegare ai miei connazionali che a causa di uno sciopero del personale addetto ai rifornimenti l’aereo non poteva partire fino a non si sa quando. Si scongiurò una rivoluzione in suolo francese, fatta da dementi italici che pretendevano di far muovere l’aereo con le loro proteste. Ricordo in particolare una signora che pretendeva che le facessi da traduttore perché voleva parlare col comandante per protestare sul ritardo e al mio rifiuto ha iniziato a fare discorsi generici su quanto eravamo delle pecore rassegnate che a testa bassa subivano qualsiasi sopruso. Con molta gentilezza feci notare alla signora in questione che dentro l’aereo poteva metterci pecore, ippopotami, elefanti e giraffe o trasformarlo anche in arca di Noè ma che senza il kerosene l’aereo non sarebbe andato da nessuna parte. Fortunatamente la permanenza in terra francese durò poche ore, poi l’aereo decollò e ci portò a Roma.
Pensate che sia finita qui? Poveri illusi. A Roma il nostro bagaglio inizialmente non si trova, ma se ne ha traccia. Si, col tagliandino della lotteria! Ma anche con un codice a barre, per fortuna. Riusciamo a rintracciare le valigie in un altro terminal, ma perdiamo l’aereo per Cagliari. D’altra parte però, avevamo imparato: bastava prendere il successivo, che problema c’è?

Al massimo arrivi a casa dopo qualche decina di ore.