Riusciamo a portare i nostri bagagli al check in e vengono etichettati per l’imbarco. In cambio, come ricevuta, otteniamo dei fogliettini di carta quadrati e numerati. Avete presente qui talloncini che si usano nelle lotterie di paese e nelle pesche di beneficienza? Quelli. Con quel pezzetto di carta in mano, salutiamo le valigie, certi del loro smarrimento.
Nella stessa sala all purposes ci aspetta il controllo di sicurezza. In posizione marginale, un metal detector più o meno risalente alla guerra dei sei giorni. Di fronte a noi, in fila, un militare in divisa si sottopone ai controlli: estrae la pistola dalla fondina, toglie il caricatore, dopodichè la prova del nove. Avete mai partecipato alla roulette russa? Io si. Con calma e serenità atarassica schiaccia sul grilletto puntando la pistola sul pavimento e facendola scattare a vuoto. TAC. TAC. TAC. Difficile scordare quel rumore. Prova superata, nessun colpo in canna. Gli viene riconsegnato il caricatore, che torna nella sua sede, e quindi nella fondina. L’arma seguirà il proprietario, in cabina con tutti. Ovvio.
Giungiamo quindi, con qualche risatina isterica, nella saletta di attesa pre imbarco. Una stanza ancora più piccola con una porta ovviamente in proporzione, dalla quale saremmo dovuti passare tutti. Avviso i miei compagni di sventura che forse è il caso di mettersi in posizione ravvicinata alla porta, intuivo che da lì a poco si sarebbe scatenato l’inferno, e magari ne saremmo potuti uscire in maniera rapida, per cui riusciamo a conquistare una location strategica. Ricordo che in mano poi non avevamo altro che un talloncino della lotteria, altro che carta di imbarco. Già mi vedevo a dover fornire spiegazioni ai controlli.
All’improvviso, il tumulto. La massa si muove. In seguito a qualche avvenimento a me ignoto, 200 persone iniziano a dirigersi verso la microporta con l’intento di uscirne e si comprimono le une alle altre, spingendo a più non posso. Noi veniamo letteralmente travolti dalla massa e riusciamo a percorrere diversi metri senza toccare terra: un nastro trasportatore umano ci stava accompagnando all’uscita.
Alla porta l’inevitabile effetto collo di bottiglia con un po’ di resistenza viene superato grazie a delle spinte ben assestate dalle retrovie e così, sputati fuori come un tappo di champagne, ci ritroviamo in pista. Si, in mezzo alla pista. In lontananza scorgiamo un aereo e ci dirigiamo a passo rapido verso di esso. Data la situazione, suggerisco ai miei di metterci a correre per arrivare prima e cercare di capire meglio ed eventualmente conquistare dei posti, prima di perdere nuovamente l’aereo.
E così iniziamo a correre. Dopo qualche metro mi volto a guardare e vedo l’apocalisse che provava a raggiungerci. Avete presente nei documentari quando una gazzella inizia a correre e poi iniziano a correre tutte le altre? Ecco, stessa situazione, dietro di noi stavano tutti correndo!
Arriviamo sotto l’ala dell’aereo, con un minimo di ombra ristoratrice, dove però un addetto ci dice (forse sulla base del colore del tagliandino, ma non lo saprò mai) che quello non è il nostro aereo, e ci indica il vero nostro aereo, dall’altra parte della pista. Altra corsa, in pista. Altra sudata megalitica. Tutto seguendo i rigorosi protocolli di sicurezza tipici della zona.
Riusciamo quindi a imbarcarci su un aereo e prendiamo posto. A caso. Siamo i primi. Nel giro di poco arrivano gli altri passeggeri. L’aereo si riempie. Si riempie. E continua a riempirsi. Full. Pieno. Salgono altri quattro individui. Che però non ci stanno e sono fatti sbarcare. Prenderanno il successivo, è ovvio no?
Nella mia testa questo volo interno è un qualcosa di assimilabile a una corriera in viaggio negli anni ’70 da Sapri a Maratea. Si compra il biglietto, ci si siede, si viaggia, si scende. Facile no?
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