Il tutto di mattina presto, mezzi assonnati, su una barchetta che a stento conteneva noi 2 più questo fantomatico capitano e che ondeggiava pericolosamente sul mare procurandoci più di qualche preoccupazione.
Sembra tutto risolto quando ci dice che stiamo per attraccare. Sì, attraccare. Ma dove siamo? “Non vedo nessun, porto mi scusi!”.
“Non vi preoccupate signori, per altri 50 euro adesso arriva il mio amico tassista e vi porta al porto, i 100 euro totali potete darli tutti a lui!”.
Così ci ritroviamo in questa landa desolata, in mezzo ad una stradina nel nulla. Nessuno all’orizzonte. Il capitano che ci salutava dalla riva.
Tempo 10 minuti ed arriva sgommando una macchina in lontananza, il tassista scende e ci grida: “Go, go, go” con fare concitato. Ho quasi pensato di dire: “Segua quell’auto e alla svelta”. Ma non c’era alcuna auto da seguire e ci aspettavano 60 km (sì, sessanta) di stradine impervie, inerpicate su montagne, per arrivare dall’altra parte dell’isola dove il nostro traghetto sarebbe arrivato di lì a poco.
Il tassista, conscio del ritardo, guidava come un pazzo.
Ma è bastato uno sguardo dallo specchietto a me che sedevo dietro per far sì che si fermasse nel bel mezzo del nulla, facendomi catapultare fuori a vomitare tutto il cibo mangiato negli ultimi 10 giorni.
Dopo di che sembra filare tutto liscio, se non fosse per il fatto che non avevamo contanti e il taxi o lo paghi in contanti o lo paghi in contanti.
Ci fermiamo ad uno sportello ATM ma non riusciamo a prelevare nulla. Torniamo dal tassista dicendo che c’è un problema a quello sportello e che non sappiamo come fare. Anche stavolta vediamo il traghetto in lontananza, consapevoli che potremmo rischiare di perderlo un’altra volta.
Lo imploriamo in tutte le lingue del mondo.