Estate 2011, Rabac (Croazia)
All’epoca avevo 12 anni e avevo coltivato una forte riluttanza a qualsiasi trasferta croata, dovuta alla periodicità di queste. Almeno 7/8 volte ad estate, un po’ con mio padre, un po’ con mia madre (sono separati). Le ho sempre considerate inutili, in quanto “il mare ce l’abbiamo anche noi” (siamo di Trieste) e di base non mi è mai piaciuto andare a fare il bagno.
Non ero per niente entusiasta quindi all’idea di dover fare una vacanza di 10 giorni in una cittadina di cui ignoravo l’esistenza fino a poco prima, ma di voce in capitolo ne avevo poca e mi sono dovuto arrendere all’idea di dover partire con mia madre, il suo compagno e il figlio di lui, che chiamerò X.
Dopo un viaggio tutto sommato leggero, favorito dalla breve distanza, arriviamo a destinazione e rimaniamo tutti e 4 abbastanza sbigottiti alla vista dell’appartamento affittato: una bella casetta su due piani con giardino, ma con la peculiarità di avere il balcone comunicante con l’appartamento adiacente, senza nessun tipo di ostacolo tra i due. I vicini potevano tranquillamente venire a farsi un giretto nelle nostre camere da letto, qualora avessimo lasciata aperta la porta finestra. Ciò ci obbligava a tenerla chiusa la notte, con la particolarità che si trattasse dell’unico mezzo con cui fare entrare l’aria in una casa priva di condizionatori. La prima notte non chiudo occhio per il caldo.
Il giorno seguente fila liscio fino al tardo pomeriggio, quando poco prima di andarcene X, salendo dalle scalette di un moletto, finisce incastrato tra i gradini e si rompe il braccio. Della sanità del piccolo ospedale locale il padre non si fida e, fatti i raggi, prendono e tornano a Trieste ad ingessarsi.
In attesa che tornino la mattina dopo, io e mia madre rimaniamo da soli nella deliziosa casetta.
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