Il giorno dopo vado in clinica, ma i raggi non mostrano nulla. Mi riportano in hotel e ormai sono completamente afona. Il telefono è ancora fuori uso, ma dal computer riesco a scrivere a un’amica su Skype e le chiedo di avvisare la mia famiglia. Faccio sempre più fatica a respirare e non c’è verso di dormire.
Passa il tempo, la febbre non scende, non riesco né a dormire né a mangiare e richiamo l’assistenza sanitaria. A un certo punto, inizio ad avere le visioni e mi convinco di avere una persona in camera. Il mio cervello mi dice che devo scappare dalla finestra (sono al 30esimo piano!) ma sono così stanca e provata che non riesco ad alzarmi dal letto. Poco dopo arriva il medico e mi dà due pastiglie per dormire. Provo a mandarle giù ma le vomito violentemente.
Nel frattempo, dall’Italia il mio capo mi prenota un volo di rientro in prima classe. Il volo parte a mezzanotte. Non so come, rimetto tutta la mia roba in valigia e salgo su un taxi. La disperazione mi guida. Sono ancora senza fiato e senza voce, ho un foglio del medico che dice che non sono infettiva (non si capisce in base a cosa) e mi presento con un biglietto scritto a penna al check-in. Quando finalmente riesco a salire sull’aereo, dopo 3 giorni e 3 notti senza dormire né mangiare, crollo sul mio sedile e quasi non mi accorgo che l’aereo si alza in volo.
Passano le ore, inizio a stare leggermente meglio (almeno ho dormito un po’) e aspetto con ansia di arrivare a Heathrow. Resto a Londra per quattro ore, durante le quali attraverso con grande fatica tutto lo scalo per arrivare al nuovo gate e vengo quasi travolta da una valigia che vola giù da una scala mobile.
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