Praga, AD 2005
Siamo stati tutti sbarbi incarogniti dal proibizionismo di genitori e istituzioni, per questo ci siamo tanto divertiti ad affossare il sistema intonando versi degli Ska-P e dei Peter Punk tra un “rientra subito a casa” e un “lasciami due tiri”.
Bene, alla gita del quinto anno delle scuole superiori ci arrivo ripetente, vetusto ma ancora traghettatore verso l’Isola Che Non C’è.
Destinazione: Praga. Mentre tutti i compagnetti promettono di mettere a ferro e fuoco la Repubblica Ceca in 4 notti – “Frate’ non hai capito, me sfonno, troveranno tracce d’alcol ner zangue, je damo de joint che bobbe mallei levate proprio” – io già sento il terrore di quell’assurdo marchingegno che sfida la natura.
L’aereo.
Tuttavia, sono abbastanza motivato per passare qualche giorno all’estero con la scuola e provare l’ebbrezza di un viaggio senza la famiglia.
Passo l’intera durata del volo terrorizzato e aggrappato al braccio del mio compagno di classe che, invece, tracanna del pessimo vino al cartoccio distribuito dagli steward di quel maledetto e caotico volo charter condiviso con classi delle medie e una sgangherata squadra di calcio in trasferta.
Arriviamo, poi tutti sul pullman che ci porta all’Opatov Hotel. Chiaramente una struttura ricettiva per comitive, ma va bene così. La hall fichissima, tutti presi bene – “Qua potemo fa’ i signori rega’, daje tutta” – e io voglio solo buttarmi in camera con gli altri 3 classmates selezionati.
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