Il mio viaggio da incubo risale a parecchi anni fa quando, adolescente idealista e cattolicissima, decido di partecipare alla giornata mondiale della gioventù a Colonia.

Avrei dovuto capire l’andazzo quando, durante il viaggio d’andata, in treno mi ciulano il sacco a pelo, ma per fortuna riesco a rimediarne un altro grazie a degli amici che salgono più avanti, quindi posso permettermi di ignorare il cattivo auspicio. Dei primi giorni non ricordo assolutamente niente, tranne il fatto che per sopravvivere ci ingozzavamo di wurstel perché il cibo fornito dall’organizzazione faceva ca*are, ma gli ultimi due, porca paletta, li racconterò ai nipotini.

Il programma prevedeva di trascorrere la giornata all’aperto, con della musica cristiana dal vivo: ci sarebbe stata poi la messa e la veglia di preghiera con il Papa, e la mattina seguente saremmo partiti verso casa.

Ci ritroviamo in un campo sterminato e pieno di fango, e ci vengono forniti dei teli impermeabili su cui stendere i sacchi a pelo. Cominciamo a fare la fila per prendere i cestini con pranzo, cena e colazione per il mattino dopo, e presto scopriamo che non ce ne sono abbastanza, quindi o ti sbrighi oppure, oltre a vegliare, digiuni.