Danimarca 2022.
Gennaio, freddo becco, ma bella giornata di sole. Arriviamo in 3 verso le 9.30, reduci da una partenza antelucana da casa alle 3 del mattino.
L’occasione non è delle migliori: il funerale di un amico danese.
Avevamo prenotato una camera in un albergo sospettosamente economico per essere nella capitale della Danimarca (pur col bagno in comune). Comunque, check-in nel pomeriggio, per cui ci avviamo a piedi verso il cimitero per il servizio funebre al termine del quale siamo attesi nella sede del club di appartenenza, per il consueto party post funerale del motociclista.
Prima, però, spendiamo un rene a testa in aeroporto per fare colazione.
Cimitero freddo, tanto freddo e vento, tanto vento dal mare del Nord, un’infinita attesa per la cerimonia. Fortunatamente un amico tedesco mi passa due bustine scaldamani che impediscono il congelamento dei miei arti, anche se a metà funzione ne ho generosamente regalata una ad un’amica olandese che dava segni di principio di assideramento.
Scendono le ombre del primo pomeriggio nordico e noi tre decidiamo di recarci in albergo prima della festa, solo per scoprire che non esiste albergo: è una semplice casa privata in cui, al piano terra e al primo, sono state ricavate delle micro stanzette, due docce gelide con i muri in nudo cemento e una zona WC anch’essa priva di riscaldamento. Fortunatamente nelle camere c’è il termosifone, anche se spento. Riusciamo comunque ad accendere tutto per avere un po’ di calore. Ovviamente, passata generale di salviette detergenti/igenizzanti e spray antibatterico che mi porto sempre appresso.
Mentre gli altri riposano io cerco la cucina a disposizione degli ospiti e arrivo così nel seminterrato. Qui la scoperta: la famiglia si era ritirata a vivere nelle stanzette sul retro del seminterrato, attrezzando una specie di corridoio a semi cucina. Strati di lerciume ovunque, dal pavimento al soffitto, polvere sugli elettrodomestici, grasso sui fornelli, un paio di stipi colmi di… boh, forse cibo, o forse forme di vita aliene, non so: scappo.
Doccia fatta solo perché da casa ho portato ciabatte di gomma per me e per il marito e stando comunque attenti a non sfiorare i muri perché, anche se abbiamo entrambi il richiamo dell’antitetanica, non ci siamo premuniti di tutta l’altra serie di vaccinazioni necessarie ad evitare cose tipo tifo, scabbia, lebbra, ecc.
Festa: bellissimo ambiente ultramoderno in tipico stile nordico, un susseguirsi di stanze con fumoir, biliardo, cucina, discoteca. Cibo gratis, caffè gratis, alcol a pagamento (e qui ci siamo giocati il secondo rene).
Rientro in hotel traumatico per il freddo, nottataccia passata appiccicata al marito litigando col piumone che sospetto fosse ad una piazza perché continuava a scappare ovunque e non bastava a coprire entrambi.
Nuova sveglia antelucana. La sera prima ci siamo accordati con un ragazzo del posto per uno strappo in auto. Gentilissimo, lui passa a prenderci e ci affastelliamo insieme ad altri amici italiani su una berlina un po’ datata. Partiamo direzione aeroporto sotto un diluvio universale con secchiate di acqua semighiacciata e alla prima curva sentiamo un gracchio sospetto. Ok, no panico. Arriviamo ad un semaforo e il gracchio si ripete.
Ok, non è più un sospetto, è una certezza: il ragazzo ha i freni finiti, è ormai arrivato alle ganasce. La mia unica consolazione è che in caso di incidente sono talmente pressata fra altri caldi corpi umani che con ogni probabilità sentirei a mala pena gli urti.
Arriviamo in aeroporto sani e salvi. Incontriamo altri compatrioti amici. Spendiamo più di 60 euro per un tampone obbligatorio per il rientro in Italia, ma che nessuno mai ci controllerà.
Corriamo verso il gate che è lontano, lontano, molto lontano, camminiamo per decine di minuti, vorremmo fermarci a fare colazione ma è un po’ tardi per cui tiriamo dritto, la faremo nei pressi del gate.
Il paesaggio dell’aeroporto si fa man mano più desolante, c’è il nulla. Al nostro gate il bar è ancora in costruzione. Due distributori automatici vengono presi d’assalto. Ovviamente non c’è euro per cui via di carte di credito.
Io ho già finito i reni per cui mi vendo la cistifellea per una bottiglietta d’acqua e un KitKat. Mio marito non so, mi ha nascosto il report della sua carta di credito ma credo abbia speso l’equivalente di una cena da Cracco.
Alla fine in ogni caso la Danimarca è bella, la consiglio vivamente, ce la siamo fatta in moto e merita tantissimo, però se andate in aereo fermatevi al primo bar disponibile che ancora non sappiamo se abbiano finito di costruire quello dell’ultimo gate in mezzo al nulla.
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